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Dogville, trama banale o film particolare?

dogvilleChi conosce il regista danese e le sue opere, sa bene che Lars von Trier non è e non potrà mai essere sinonimo di convenzionalità. Ne è testimonianza il suo film del 2003 “Dogville”, primo episodio dell’incompleta trilogia incentrata sull’America, che include “Manderlay” del 2005 e che avrebbe dovuto concludersi con l’irrealizzato capitolo finale “Wasington”. Realizzato con un budget di 10 milioni di dollari (ne incasserà 16) il film vede la presenza di star del cinema che ne hanno accresciuto la popolarità: Nicole Kidman tra tutte, ma anche Ben Gazzara, Lauren Bacall e James Caan, coadiuvati da Chloë Sevigny, Paul Bettany e Stellan Skarsgård, con la voce narrante di John Hurt.L’aspetto che più colpisce del film è la soluzione scenografica scelta da von Trier. La storia, ambientata negli anni ’30, si svolge nella città americana di Dogville, una piccola comunità di montagna abitata da una manciata di individui. Lo spettatore non vede però case, alberi, montagne, ma solo un’area sulla quale sono disegnati i contorni delle abitazioni e le vie della cittadina. Gli attori mimano quindi l’apertura delle porte e l’utilizzo di alcuni utensili, anche se utilizzano letti, panche, sedie, auto e strumenti di lavoro reali. I confini del paese non sono mostrati al pubblico, tuttavia si capisce che la comunità, che vive dall’estrazione mineraria e dall’agricoltura, è isolata dalle città più vicine. La monotona esistenza degli abitanti di Dogville è improvvisamente scossa dall’arrivo di Grace, un’incantevole ragazza fuggita dalla città, di cui non si conosce il misterioso passato. Tom, giovane aspirante scrittore costantemente propenso ai ragionamenti filosofici, decide di aiutarla, perorando la sua causa dinanzi all’intera comunità. Gli abitanti di Dogville concedono a Grace una permanenza temporanea in città, per poi decidere all’unanimità di ospitarla senza limiti, per via del suo carattere gioviale e per la disponibilità offerta nelle faccende domestiche. Gradualmente però la ragazza diviene vittima degli abusi degli abitanti di Dogville, specie quando questi vengono a sapere che è ricercata dalla polizia. Le umiliazioni cesseranno solo all’arrivo del padre, un gangster spietato che ordinerà la distruzione del paese e la violenta eliminazione della sua gente, con il benestare della stessa Grace. “Dogville” non delude i fan di Lars von Trier, anche se si distacca dai canoni più ferrei del manifesto “Dogma”. Relativamente alla scelta stilistica, con le pareti invisibili e gli scheletri delle strutture il regista sembra voler sottolineare da una parte l’essenzialità dell’esistenza dei protagonisti, dall’altra il fatto che questi vivano in uno stato di isolamento, ma non siano mai del tutto soli. Viene rimarcata la loro ipocrisia, la loro tendenza a non vedere ciò che è evidente, la loro intrinseca meschinità. E le immagini finali, accompagnate dalle note di “Young Americans” di David Bowie, confermano che l’impietoso giudizio del regista si rivolge nei confronti degli Stati Uniti.

  • DICE IL SAGGIO:

    " Non chiedere al maestro cosa c'è oltre la porta, chiedi solo la chiave per aprirla. E' tutto quello che può darti... il resto dipende da te.
    ( Anonimo ) "

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